W Maradonna di Cristina Galardini

Qualche anno fa la nostra cofondatrice Cristina Galardini vinse la pubblicazione sulla prestigiosa rivista letteraria Progetto Babele con questo racconto. 

 

Evviva Mara… donna

 
“Amore il caffè.” 
Come una dolce mogliettina Mara porgendo il caffè al marito Francesco seduto al tavolo del salone, intento a sentire la radio, sintonizzata su una delle stazioni locali che parlano di calcio, con davanti il Corriere dello sport.
“Il caffè amore. Amore il caffè si fredda.” 
Alzando la voce Mara e spengendo la radio per catturare l’attenzione del marito.
“È? chi è? Ma che fai, perché l’hai spenta?” Disorientato Francesco.
“Ma come chi è Francesco, sono Mara, tua moglie. Sono tre volte che ti dico del caffè. Da caldo è diventato freddo e ascoltami un attimo per favore.”
“Ascoltami, ma perché tu l’hai ascoltati gli amici tuoi? Aho certo che c’avete un coraggio a parlà voi laziali. Ve ne dovevano fa 4 de gol, mica no, altro che pareggio.”
Mara sconsolata non replica al marito.
“Guarda che anche se non parli la faccia che c’hai dice tutto. Va beh lasciamo perde va. Pure st’allenatore de a Roma non me convince più di tanto. So tre anni che lo pagamo e ancora non s’è visto manco no scudetto. Se li allenavo io, quei giocatori che c’avemo altro che scudetto a champion avevo vinto.”
Mara fa una smorfia di disappunto che al marito non scappa, il quale sta per continuare il suo discorso ma viene prontamente interrotto dalle dolci parole della moglie.
“Ora calmati che siamo solo a lunedì, vedrai che la prossima domenica andrà meglio, vince la Lazio, perde la Roma e vince pure il tuo Grottaferrata, contento?”
“Se, vinciamo. Magara. Na manica de pippe so diventate, c’hanno i piedi di ferro. 7 gol avemo preso l’altra domenica, 7. E in classifica Eccellenza semo ultimi. Se continuano così, io come allenatore a fine anno non c’arrivo. Oggi agli allenamenti gli faccio vedere io, te li massacro.” 
Alzandosi finalmente dalla sedia, rabbioso. Mara che si addolora quando il marito si infervora in quel modo, gli si avvicina, lo accarezza sulla guancia e poi inizia a dargli degli affettuosi bacetti che man mano diventano sempre meno affettuosi ma più focosi, accompagnati dalle mani che lentamente si vanno a posizionare nelle parti intime del marito. Il quale però come Mara ben sa, il giorno dopo una sconfitta non è nel momento giusto per fare l’amore.
“Dai Mara non è il momento. Io sto attraversando una crisi nera e tu pensi a fare all’amore.” 
Scostando delicatamente le mani di lei.
“Povero il mio Murignetto, ma la colpa non è tua, tu sei bravo come allenatore, forse anche meglio del tuo idolo Murigno, è solo che magari per i giocatori che hai quest’anno, stai sbagliando modulo, al posto del 4-3-3 che è troppo offensivo con Pietropandev, Antonelli e Toro, potresti provare il 4-4-2 facendo retrocedere Antonelli sulla linea dei centrocampisti e lasciare Toro e Pietropandev davanti, come la Juventus.”
Francesco che fino a quel momento la stava ascoltando silente, nonostante le abbia ribadito diverse volte il concetto che le donne non sono adatte per parlare di calcio, alla parola Juventus, scatta in piedi rabbioso.
“Nun me parlà der nemico. La parola Juventus non la voglio sentì, chiaro? Senti fa una cosa va a lavoro che se no qui finisce male.”
“Ma perché non vuoi vedere la realtà, sono la squadra più forte degli ultimi tempi.” Non fa in tempo a finire la frase, che Francesco si avventa su di lei per chiuderle la bocca con la sua mano destra. Poi sgranando gli occhi, la fissa come a volerla spaventare. Quando vede che Mara ha capito che una volta tolta la mano dovrà tacere, si ricompone e con molta calma torna a sedersi. 
“Te l’ho detto mille volte, la mia è una squadra d’eccellenza non de dilettanti. Che ce poi capì te de moduli, de ruoli, de tattiche, de gioco maschile di un certo livello. Nun basta ave giocato a pallone per parlà de pallone.” Le parole echeggiano nell’aria come piombo. Mara ha afferrato il concetto e saggiamente porta via la tazzina del caffè che il marito non ha bevuto. Finisce di prepararsi per andare al lavoro nella camera da letto, poi torna in salone e si infila il giubbotto, prende le chiavi di casa poggiate sulla mensola, la borsa appesa all’attaccapanni e si avvicina a Francesco per salutarlo. Si china verso di lui come a volergli dare un bacio sulla guancia e sussurrando gli dice: “Sono stata capocannoniere per 10 anni al campeggio, ero la piccola Maradonna quando ho giocato nella Roma, tu che cosa hai vinto? Neanche la coppa der nonno al torneo scapoli/ammoiati. A stasera amore mio.” 
Poi si rialza, si gira e chiude lentamente la porta dietro di sé lasciando Francesco seduto a fissare il vuoto.
Qualche ora dopo, Mara è fuori dal supermercato dove lavora e sta parlando al telefono con una delle sue più care amiche per sfogarsi un pò.
“Te lo giuro Giulia, Francesco mi manda in bianco. Anche questa mattina mi sono avvicinata dopo la sua sfuriata settimanale per via del Grottaferrata, che sta andando una chiavica e nonostante gli avessi messo le mani sul gioiellino di famiglia, mi ha detto dai amo non è il momento. Così per non litigare, perché poi sai che siamo finiti a parlare di calcio, mi sono vestita e ho attaccato al lavoro prima, tanto qui una mano in più serve sempre.” 
L’amica è incredula anche perché di solito sono le donne che mandano in bianco gli uomini, non sa quale altro consiglio darle fino a quando non le suggerisce di allontanarsi un pò da lui. Magari potrebbe essere costruttivo, perché il fatto che lui non si fidi di lei non può rimanere circoscritto solo in ambito calcistico, questo delinea anche una sfiducia a monte nei suoi confronti. Giulia è così convincente nel motivarle il gesto che dovrebbe compiere che Mara attaccato il telefono, riflette seriamente sul consiglio dell’amica.
Il giorno dopo Mara si sveglia prima del solito, i pensieri non la fanno riposare come di consueto, così decide di alzarsi per preparare il caffè, senza accorgersi che Francesco non è al letto, si è alzato prima di lei e ha avuto la sua stessa idea. Cosi i due si ritrovano all’alba in cucina.
“Beh non leggi il Corriere stamattina?” 
Esordisce Mara, sorpresa di non trovare il fedele amico spiegato sul tavolo.
“Che me serve legge il Corriere se ho chiuso col calcio. Preferisco legge Topolino almeno con lui so che non sbaglio mai.” 
Mara è stupita e si sente in colpa. Forse non si è accorta che ieri mentre parlava con la sua amica al telefono c’era anche Francesco nascosto dietro qualche pilone del supermercato. Poi ci pensa bene e in effetti realizza che non può essere perché Francesco aveva gli allenamenti al campo in mattinata. Allora dubbiosa prova a far parlare il marito. 
“Dai ma che Topolino, che vuol dire che col calcio hai chiuso, ti hanno fatto arrabbiare i ragazzi, ieri?” 
Nominati i ragazzi ha toccato il tasto dolente Mara. Francesco cambia espressione, improvvisamente sembra come posseduto, si alza dalla sedia con le braccia alzate tremolanti. “Ieri avemo perso pure in amichevole, ma te rendi conto e me s’è infortunato pure Vincenzi. C’avevo le lacrime agli occhi ma me so dovuto trattene e quello che me brucia è che devo abbassa la testa quando passa er presidente e io la testa l’abbasso solo pe allacciamme le scarpe.” Mara che non sopporta quando Francesco inizia con il melodrammatico si lascia andare al suo istinto e confessa le sue intenzioni. “Ho detto di sì a Paulinho.” 
Francesco si paralizza, si gira lentamente, guarda per qualche secondo Mara e poi si fa coraggio. “Ma che s’è ristretto Paolo? È vero che non è mai stato un gigante ma mo chiamallo così me sembra veramente troppo.”
“Ma che hai capito, non Paolo il secondo allenatore, Paulinho mio cugino italo spagnolo.”
“E da quando c’hai i cugini spagnoli?”
“Da sempre, mica i cugini si fabbricano al momento.”
“Ma non me l’avevi mai detto? Io sapevo che quelli più lontani abitavano a Boccea.”
“E mi sarò dimenticata. Comunque io ho parlato con mio cugino, gl’ho raccontato di noi, delle nostre crisi sessuali, del momento no del Grottaferrata, che forse il presidente ti caccia…” 
Mentre Mara continua con la sua lista di cose che ha detto al cugino, Francesco se la guarda con uno misto di sospetto e dubbio. Infondo è passato solo un giorno da quando ieri hanno discusso per l’ennesima volta sul calcio è possibile che in poco tempo abbia raccontato tutto questo al cugino? E poi come mai non gli hai mai parlato di lui se è una persona così importante per lei?
“Insomma, io l’ho visto solo una volta a Paulinho quando ero adolescente, e lui è venuto a Roma con tutta la famiglia. Mi ricordo che organizzammo una partitella a calcio sulla spiaggia e lui era proprio un fenomeno, ogni volta che toccava palla era un gol, proprio come me, infatti ci dicevano che eravamo uguali in tutto, due gemelli separati alla nascita.”
“Scusa è amo è tutto molto interessante ma che c’entra adesso tu cugino?”
“C’entra, perché lui fino a 18 anni ha giocato nella primavera del Barcellona, era un fuoriclasse solo che il giorno del debutto in serie A, entra e subisce un fallaccio che gli stronca la carriera. Zac! Menisco, crociati, tutto rotto.”
“Va beh un sacco di giocatori si rompono il menisco, i crociati, poi però si operano e riprendono.”
“No, lui un disastro, una storia lunga che adesso se inizio a raccontarla faccio tardi al lavoro. Comunque, la cosa importante è che poi lui ha iniziato a fare l’allenatore e dopo la confessione che gli ho fatto, si è impietosito e adesso vuole venire ad aiutarti.” 
Francesco è lusingato dalle attenzioni di Paulinho, solo che è troppo orgoglioso per accettare aiuti da qualcun altro, così ringrazia Mara per la gentilezza del cugino ma rifiuta il suo aiuto.
“Troppo tardi. Gl’ho detto che va bene, che domani può venire qui, mentre io ne approfitto per stare un pò da sola a Barcellona a casa sua, così è la volta buona che ci prendiamo una pausa di riflessione io e te.” Francesco è incredulo e in totale disaccordo con questa decisione. Non crede che la loro storia abbia bisogno di una pausa di riflessione e non vuole assolutamente restare solo con Paulinho.
“Mara io non te lo permetto. Sono tuo marito e certe decisioni vanno prese insieme. Ecco.” 
Mettendosi con il proprio corpo davanti alla porta di casa per impedirle di passare. Ma Mara è irremovibile e poi la decisione è stata presa, partirà nel pomeriggio direttamente dal lavoro. Così con fare deciso lo scosta dalla porta, apre la stessa e la richiude dietro di sé senza battere ciglio.
“Ma che se fa così? Mara… Maruzzella… amore mio.”
Mara, in realtà, elaborando il consiglio della sua amica Giulia, fa credere al marito di partire, invece si servirà solo del bagno di casa della sua amica per inscenare un travestimento e diventare Paulinho, il cugino spagnolo.
“Grazie Giulia, cosa farei senza di te.” 
Le dice al telefono, ringraziandola per questa sua cortesia nel prestargli il bagno e gli abiti del fratello minore. “Speriamo che Francesco abbocchi al gioco.”
“Ma certo che abboccherà, tu sei così brava a imitare le persone. Ti ricordi quando lo facevi a scuola? Era uno spasso.”
“È ma adesso dovrò mentire a mio marito, al mio cucciolotto, non credo che sarà la stessa cosa. Se mi viene da ridere, o se mi vergogno?”
“Tu pensa che lo fai per salvare il tuo matrimonio e vedrai che ti verrà facile mantenere il gioco. Mara non può continuare a non prenderti in considerazione, a non ascoltare le tue idee, si inizia con il calcio e poi si finisce con i figli.”
“Dai adesso non drammatizziamo.”
“Mara ascoltami bene, se continuate così finirete per divorziare.”
“Ok sono pronta.”
Qualche ora dopo è davanti il portone della propria abitazione. Prima di suonare al citofono è nervosa, agitata, apre e chiude la bocca per constatare che ci sia abbastanza saliva per non impappinarsi con le parole. Fa qualche respiro per autocontrollo, come le hanno insegnato a yoga, socchiude gli occhi e preme il bottone. In quei pochi secondi che passano si sente una stupida che si è lasciata convincere da un’amica a fare una cosa folle. È passato troppo tempo, forse Francesco era in bagno, sta per risuonare quando sente aprirsi il portone. Si blocca e poco dopo vede uscire Fiorella la sua vicina di casa, che la guarda e le chiede se deve entrare. Mara abbassa lo sguardo e con la testa fa un cenno come a ringraziarla, mentre decisa entra nel palazzo. Il primo ostacolo è superato adesso c’è quello della porta d’ingresso. Nel frattempo, Francesco cammina avanti e indietro nel salone di casa preoccupato sia per l’arrivo di Paulinho e sia dal fatto che da quando è uscita di casa Mara, diretta al lavoro e poi all’aeroporto, non risponde al telefono. Ha mille domande che gli frullano per la testa che si bloccano e diventano tante piccole particelle di terrore quando sente suonare il campanello di casa.
“Oh mio Dio! Dev’esse lui, Paulinho, er cugino spagnolo. Io nun apro.” 
Dopo qualche secondo di silenzio si sente di nuovo suonare il campanello. Francesco è immobile al centro del salone. 
“Nun te apro hai capito? Vai via brutto spagnolito.” 
Terzo e più prolungato suono. “Apro.” 
La porta lentamente scopre il volto del cugino spagnolo. Una copia autentica di Mara, con folti baffi e tanti capelli ricci neri. Con indosso un paio di jeans grigi che evidenziano un attributo maschile di notevole dimensione, un giacchetto del Barcellona football club e un paio di occhiali arancioni con lenti gialli. Non fa in tempo a finire di squadrarlo dalla testa ai piedi che viene travolto dall’irruenza di Paulinho.
“Olà Fransisco, so Paulinho, che lindo conoscete. Tu eres un pochito sordo eh? Io sonar muche volte, mucissime.. ma che importa. Jo soy così feliz de poterte conoscer.”
“Mara ma sei tu?”
“Marra? Ah mi cuginetta Mara, ma sierto io e la mi cuginetta somos lo mismo, egual come dite voi in Italia, dos goces de la aqua. Però ella è un pochito mejor, se verda? Ah che casa linda…” 
Mentre Mara prosegue con il suo monologo senza dar modo a Francesco di intervenire di nuovo, lo stesso è frastornato, non sapendo cosa fare. Vede questo cugino spagnolo che oltre a ostentare tanta allegria, parla velocemente, gesticola, si muove con una rapidità tale da tenerlo fermo davanti alla porta. 
“Que fai lì? Portame la valis aqui por favor. Tengo mucho cose da dirte. Muche cose da sistemar.” Francesco obbedisce e come incantato dal nuovo ospite, prova a essere ospitale arrancando qualche parola in spagnolo. “Scusames Paulinhos para el momiento de primas, ma la somiglianzas m’ha un pochito corpidos, me comprendido?”
Mara non sa trattenersi e sbotta a ridere cercando di mantenere comunque il tono della propria voce basso e rauco. Anche Francesco sbotta a ridere per l’assurdità delle parole che ha appena pronunciato e passati i primi dubbi accoglie il nuovo ospite come un amico di vecchio data. 
“Aho accomodate mortacci tua, che sei troppo simpatico. Me comprendi? sei simpatico. T’ho faccio un caffè?”
“Lasio, un aquilas che stai volando nel sielo.”
“Aho fermate, fermate che lazio, qui c’è solo la Roma e il Grottaferrata. A Paulì non scherzamo che te rimetto sur primo volo.”
“Grottaferatas bravo, ahora tenemo de ablar. Sederse. Ante er trabajo, depuis tomamo el cafè.” 
Paulinho si fa serio mentre lo dice e Francesco capisce che a Paulinho non interessano molto i convenevoli, vuole arrivare subito al punto. E forse è meglio. Così senza aggiungere altro, con un’espressione che sta a dire hai ragione tu, prende la sedia la gira, si siede a cavalcioni, poggia le braccia sullo schienale e si prepara all’ascolto.
Il giorno dopo i due sono al campo per gli allenamenti di rito, Mara temendo che qualcuno possa riconoscerla chiede a Francesco di potersi accomodare fuori dal campo, sugli spalti, con la scusa che in questo modo i giocatori non giocheranno sotto pressione. Francesco è d’accordo e puntuale come un orologio svizzero alle 3 del pomeriggio inizia la sessione di allenamento. Da fuori Mara finge di prendere appunti sul suo taccuino e ogni tanto con la testa fa dei cenni di assenso quando il suo sguardo incrocia quello di Francesco. Dopo 3 ore di intenso lavoro, Francesco concede ai ragazzi la possibilità di disputare un’amichevole tra di loro. A fine partitella Francesco raggiunge Paulinho il quale preferisce sbilanciarsi e dire la sua solamente quando saranno soli a casa. E così avviene, qualche ora dopo, i due discutono di quello che è accaduto negli allenamenti, analizzando i giocatori e confrontandosi in vista dell’imminente partita di domenica, mentre degustano una deliziosa cena spagnola a base di Paella e Sangria.
“Anche mette Giordani come seconda punta lo vedo bene, c’hai ragione Paulì, quel ragazzo c’ha fame de gol. Però Dario dal centrocampo alla difesa nun so convinto.”
“Fidate Francisco, fidate. S’è mejor. Dario tiene il passo della difesa, sta serrado.”
“Che vor di sta serrado a Paulì.”
“Che esser come Aldair el grande diffensore della Roma, te lo ricorda?”
“E chi se lo dimentica er mitico Pluto. Mammamia che me stai a di a Paulì. Se me dici che Dario po esse come Pluto a noi chi ce segna più. Appena arriva l’avversario zacchete, zacchete quello lo serra, lo stronca. Daje Paulì brindamo ar nuovo Pluto de Grottaferata.” Allegro Francesco che beve tutto d’un fiato un altro bicchiere di Sangria.
“Un momentino antes de brindar, ablamo de Nenni, no eres bueno alla derechia se muove malo, cambiamolo con Christian es perfecto per il ruolo.”
“Sicuro Paulì? Nenni c’ha du piedi sinistri.”
“Mira. La ischierda. A la ischierda Nenni deve jocar. Jo me siento che domingo serà un trionfo. Preparate a cantar gol, gol, muchissime volte gol.”
“Va beh Paulì allora sai che ti dico brindamo pure alla destra e alla sinistra, va tutto bene, dopo sta magnata e sta bevuta, spostamo tutti, cambiamo pure Lucchi al posto der portiere je famo fa l’arbitro, che dici Paulì?” 
Francesco a forza di buttar giù bicchieri colmi di Sangria è ormai su di giri. E se prima faceva fatica a comprendere lo spagnolo adesso lo confonde del tutto.
“Che lindo. Però es mui tarde, jo soy cansado.”
“Te sei incazzato? Ma come a Paulì t’ho dato pure ragione. Aho me sembri tu cugina, che se incazza senza un senso, eppure me sembra che semo stati bene insieme no?” Abbracciandolo e baciandolo sulla testa come se fosse un peluche. Mara vorrebbe sgridagli perché sta esagerando con il bere, ma non vuole farsi scoprire e così abbozza un finto sorriso, mentre cerca di trovare il modo per chiudere la serata.
“Tu eres loco. Cansado che soy stanco, tengo suenno, vado a cucciarme.”
“Accorciatte? Più de così diventi nano.” 
Scoppiando a ridere in una risata fragorosa. “Sto a scherzà, ce lo sai no? a Paulì c’avrei pure qualche idea pé finì mejo sta serata, nun lo so se è er vino o sei te, ma me sento carico, stasera potrei fa na strage de donne. Però è mejo che me sto zitto che se poi fai a spia co tu cugina, so finito. Va beh però questa te la devo di, c’è Milena che abita qua sopra, mammamia Paulì c’ha du bocce, stasera un tiretto me lo farebbe.” E ricomincia a ridere sguaiatamente. Mara che non sopporta quando Francesco si comporta in questo modo, cerca di trattenersi ma è più forte di lei la rabbia che cresce dentro e così si avvicina a lui e fingendo di essere allegrotta anche lei inizia a dargli delle piccole sberle sulla guancia che man mano diventano sempre più ripetute e forti.
“Basta Paulì me stai a fa male pe davero, so già rincojonito de mio. Ma che ce stai a pia gusto.”
“Basta! Tu non tiene respetto per tua mujera, per Mara. Ella non te merita. Ella è intelligente, brava, se intiende de pallone.” Gli grida contro mentre, senza curarsi se Francesco la stia ascoltando o meno, si dirige verso la sua stanza.
“A Paulì ma sto a giocà, io a Mara nun la tradirebbe ma, fisicamente sarà pure la metà de Milena ma è 10 vorte mejo. Però a Paulì mo che c’entra che Mara se intiende de pallone scusa, che te ce metti pure te?” 
Quando ancora non ha terminato di parlare, si sente sbattere la porta della camera. “A Paulì stavo a parla con te, non è carino.”
Il giorno dopo Francesco si sveglia con un forte mal di testa, si alza dal letto e ancora assonnato si dirige in cucina per prepararsi un caffè. Passando davanti alla camera dove ha dormito Paulinho, si accorge che la porta è ancora chiusa, non sa se bussare o meno, dopo il comportamento di ieri sera, si sente un po’ in imbarazzo. Così decide di fare colazione e di aspettare che sia Paulinho a farsi vivo per primo. Passa mezz’ora e non sente nessun rumore. Passa un’ora e ancora nessun rumore. Dopo un’ora e mezza si fa coraggio e bussa alla porta. Una volta piano. La seconda volta un po’ più sostenuta, la terza abbassa la maniglia per aprire la porta. Il letto è stato rifatto e Paulinho non c’è, è già uscito. Fa qualche passo per entrare e nota che anche la valigia non c’è, c’è però un foglietto sulla scrivania. Lo prende e inizia a leggere.  
Caro Francesco,
quando leggerai questo biglietto sarò già partito. Sicuramente ti meraviglierai del mio italiano così perfetto, è perché io in realtà sono italiano anzi italiana, sono Mara. Ho inventato la storia del cugino spagnolo e mi sono travestita da maschio perché volevo che tu mi ascoltassi. Lo so le cose non andrebbero dette in questo modo ma è l’unico modo per farmi ascoltare da te, quando ti parlo di calcio. Non so se mi perdonerai mai per questo, diciamo che se tu lo farai io farò finta di non aver sentito quello che hai detto di Milena. Spero che la tattica che abbiamo studiato ieri tu la prenda in considerazione, infondo per una volta potresti rischiare, tanto peggio di così cosa potrebbe accadere. Adesso devo andare, sento che inizi a muoverti nel letto e non vorrei farmi trovare prima del tuo risveglio. È stato difficile mentirti questi giorni, ma credimi se ti dico che l’ho fatto solo perché ti amo e perché vorrei aiutarti e vederti felice.
Tua Mara.
Incredulo riposa il foglietto sulla scrivania e rimane a fissarlo per un po’. Poi si volta da uno sguardo all’orologio sulla parete e si accorge che deve muoversi altrimenti arriverà tardi alla partita. Deciso prende il giacchetto, le chiavi di casa, le chiavi della macchina ed esce. Quando arriva negli spogliatoi trova i ragazzi silenziosi. Da qualche settimana il clima è teso e nessuno si sente di scherzare prima della partita. Dalla tasca interna del suo giacchetto tira fuori un foglietto da dove legge la formazione che entrerà in campo tra poco. È quella consigliata da Paulinho o meglio da Mara, nonostante non abbia ancora deciso cosa fare con lei.
“Mister ma giochiamo con il 4-4-2?”Chiede Nenni il capitano della squadra.
“Si, qualche obiezione?”
“No è solo che… c’ha sempre detto che il suo modulo era il 4-3-3”.
“E allora? Adesso un allenatore non è libero di fare cambi? Voglio dare fiducia a una vocina che ho sentito nell’orecchio.” Risponde Francesco rimanendo sul vago, per non svelare la verità.
“E quando l’ha sentita sta vocina, mister?” Incuriosito chiede Dario.
“Aho che demo fa na seduta psichiatrica? Ho deciso così e basta.” E senza aggiungere altro esce dallo spogliatoio per dirigersi sulla panchina a bordo campo. Le squadre entrano in campo, l’arbitro poggia il pallone al centro del campo, attende che le due squadre si dispongano ai lati del campo e poi emette un fischio per permettere il saluto al pubblico. Sorteggio, scelta del campo, tutto pronto, l’arbitro si porta il fischietto sulle labbra e fiu, inizia la partita. Al ventesimo del primo tempo il risultato è ancora fermo sullo 0-0. Ci sono state delle occasioni per entrambe per portarsi in vantaggio ma niente di eclatante. Passata la mezz’ora Francesco si alza in piedi e inizia a richiamare i suoi ragazzi.
“Crossa sta palla, no, non così ragiona ma che crossi a caso. Forza te, te voi fa trovà libero, voi move que gambe. Lucchi torna, torna, da na mano ar centrocampo, forza.”
“Mister ma che c’ha oggi?”
“Perché?”
“Sta avvelenato, se continua così prima de a fine da partita je viene n’infarto.”
“Tu pensa per te che me sa che oggi manco entri.” Scontroso si rivolge a Martucelli lasciato in panchina dopo la scarsa prestazione in amichevole.
“Porta palla, porta palla, alza a testa. Davide fatte vede, Pigna girate, girate, ecco bravo passala a Francesco, passala a Nenni..tira, tira.. gooooollllllll. Gooooolllll.” Con un’esultanza a lungo aspettata e sospirata finalmente Francesco caccia fuori il suo urlo liberatorio. Felice corre verso i suoi ragazzi per abbracciarli come se avesse vinto la coppa del mondo. Si calma solo dopo essere stato minacciato di espulsione dal campo da parte dell’arbitro. Sudato e senza voce prova a calmarsi sedendosi sulla panchina ma la tensione è talmente alta che ci resta solo per pochi secondi, poi ricomincia di nuovo a fare su e giù per i metri consentiti nel campo. Finisce il primo tempo, le squadre vanno negli spogliatoi, Francesco raggiunge i suoi ragazzi. Entra come un uragano è deciso e parla chiaro.
“Non voglio distrazioni. Continuiamo con il 4-4-2 come la Juventus e portiamoci a casa questa vittoria.”
“A mister ma si sente bene?” È Pietropandev a parlare ma è il pensiero è anche di tutti gli altri.
“Perché?”
“Ha appena nominato la Juventus.”
“Perché non se po’? C’è qualcuno contrario?” Tutti tacciono come degli studenti appena beccati a fare sega. “Bene. Andiamo in campo e facciamogli vedere chi siamo.”
Il secondo tempo è molto meno vivace dei soliti secondi tempi giocati precedentemente dal Grottaferrata. La squadra è più attenta e meno offensiva. I giocatori tengono maggiormente il possesso di palla e rischiano solo in poche occasioni. Si arriva al quarantesimo e Nenni si procura un calcio di punizione dal limite dell’area. È un momento importante. Dopo qualche minuto, perso per le contestazioni dei giocatori avversari, Pigna sistema il pallone. Francesco non sa che fare se guardare la punizione o girarsi dall’altra parte. È nervoso, continua a scrocchiarsi le dita e a masticare con voracità il chewing gum alla menta offertogli da Rino il fisioterapista. La difesa avversaria si posiziona. L’arbitro si allontana dalla palla, si porta il fischietto alle labbra, fischia, Pigna prende una breve rincorsa e palla che si insacca sotto la traversa.
“Goooooooollll, Goooooollll.” 
Esplode Francesco che si dimentica dell’avvertimento precedente e si mette a correre in mezzo al campo, togliendosi la maglietta come se fosse stato lui l’autore del gol. Poi dopo 2 giri a vuoto in mezzo al campo, raggiungere Pigna e lo abbraccia saltandogli sulle spalle. Anche gli altri ragazzi corrono in direzione di Pigna e in pochi attimi si crea un groviglio di giocatori accatastati uno sopra l’altro come macchine. È gioia totale per la squadra del Grottaferrata che finalmente riesce a vincere la sua prima partita di campionato. La partita finisce con il pubblico in festa che applaude e a suon di tamburi ringrazia la propria squadra. Francesco è felice e decide di andare anche lui insieme alla squadra sotto la curva dei propri tifosi per ringraziarli del loro sostegno. Sta cantando insieme ai suoi ragazzi quando si accorge che in curva c’è anche Mara. Si ferma, i due si guardano, poi lui piano piano da solo si avvicina sempre di più fino a fermarsi a pochi metri dalla recinsione che li separa. Non dice nulla continua a guardarla fino a quando usa le mani per formare un cuore e gridarle Ti amo.
Lei commossa si avvicina alla recinsione e mette le mani sulla stessa per poter aver un contatto con Francesco. I due si stringono le mani attraverso le maglie della recinsione.
“Allora non sei arrabbiato con me?” 
Chiede Mara, tirando su con il naso per cercare di trattenere l’emozione.
“No, amore mio. Nun sò arrabbiato con te. Sò arrabbiato con me perché stavo per perde la cosa più bella che ho per questa mia convinzione che tu non ne capisci de calcio. Me sento così stupido.”
Mara scoppia a ridere. “Allora sei d’accordo con me che capisco di calcio. Che se ti do i consigli io il Grottaferrata vince?”
“Va beh mo nun t’allargà, nun te dimentica che se nun era pe tu cugino…”

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